Essere figli di Dio è meraviglioso.
L’amore di cui il Padre ci è stato largo sottolinea la speciale posizione che abbiamo davanti ai suoi occhi, non derivante da particolari meriti ma un dono (I Giovanni 3:1). Il legame che ci lega a Lui dovrebbe spingerci molto oltre: è inutile beneficiare di questo privilegio se col nostro Dio non abbiamo una comunione di intenti e una fiducia tale da metterci in una posizione più vicina al suo cuore. Dio vuole dei figli che siano amici, individui dove possa trovare condivisione dei suoi progetti e disposizione all’ascolto; come fu per Abramo, verso il quale Dio provava una certa remora nel celargli i suoi obiettivi (Giacomo 2:23). In periodi di estrema crisi sono molteplici i messaggi “profetici” intrisi di autoreferenzialità, e questo purtroppo dovrebbe spingerci a chiedere quanto la Chiesa sia effettivamente amica di Dio.
Se l’attitudine all’ascolto è importante, non meno lo è quella all’azione, la disposizione al servizio. Paolo non viveva il suo ministerio come una catena coercitiva, ma imparò a servire di propria iniziativa (I Corinzi 9:19): questa è libertà. Gesù soprattutto, ne è l’esempio primo, il quale prese la forma di servo pur essendo Dio. Un cuore disposto all’amicizia e al servizio verso Dio è necessariamente un cuore che sa accostarsi al suo (Giovanni 13:26).